IL NASO DI UN NOTAIO
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“Un fiotto di sangue zampillò da dove terminava la sciabola, un paio di occhiali cadde a terra e il notaio sentì la testa alleggerita dal peso del naso. A dire il vero ne era rimasto un pezzo, ma così insignificante che non merita di parlarne.”
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“Un fiotto di sangue zampillò da dove terminava la sciabola, un paio di occhiali cadde a terra e il notaio sentì la testa alleggerita dal peso del naso. A dire il vero ne era rimasto un pezzo, ma così insignificante che non merita di parlarne.”
Tra la fine del 1500 e i primi anni del 1600 il filosofo calabrese Tommaso Campanella si trovò a ragionare sulle possibili conseguenze del trapianto di pelle nelle operazioni di chirurgia plastica. Riferendosi in particolare alle tecniche di ricostruzione nasale, Campanella si chiedeva che cosa mai sarebbe accaduto con la morte del donatore: poteva la sua pelle trapiantata in un altro individuo sopravvivere come una parte indipendente al tutto? Ispirato da queste preoccupazioni a metà fra la religione, la magia e la superstizione, nel 1862 Edmond About scrisse Il naso di un notaio, sarcastico e irriverente racconto che “romanza” la storia della rinoplastica scientifica. Dando vita a un irresistibile plot che unisce l’immaginario con la realtà e il linguaggio della medicina con quello narrativo, About mette in scena una sorta di teatro dell’assurdo per raccontare (come chiarisce la postfazione di Massimo Rizzardini) la “normalità” della fervida fantasia di fronte alle stravaganti e sconosciute stranezze della Storia. Il naso di un notaio va dunque letto alla stregua di un esercizio di stile che, come il diavolo di Pessoa, ci mostra l’altra faccia della realtà: una realtà che ci apparirà più falsa della sua finzione.
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